Perché ci vogliono due lingue per scrivere una poesia

Scrivere in due lingue per me apre la possibilità di autotradurmi, dal tedesco in italiano o viceversa dall'italiano in tedesco. Così è successo per esempio per alcune poesie pubblicate nelle raccolte Aus dem Schneebuch (2008), Gartenarbeit (2010) e Volti di parole (2010). Rivedere i testi nel tempo in un'altra lingua diventa spesso una riscrittura e questa assume più volte la forma di un vero ridisegno. Sono spostamenti minimi o passaggi di lingua (p.es. dal titolo al corpo del testo), che mi danno l'impressione di non arrivare mai ad una fine, perché ogni nuova versione nella rilettura/riscrittura dell’altra lingua ne richiama una nuova. Ci sono versioni italiane di poesie che hanno cancellato il testo tedesco e viceversa; con ‘cancellazione’ intendo qui che ho trovato la riscrittura nell’altra lingua più aderente al nucleo esperienziale o più semplicemente a quello che volevo dire, senza che inizialmente ne fossi direttamente consapevole. È quindi stata la riscrittura a capire meglio e in alcuni casi è diventata la versione preferita e agli antipodi della traduzione-surrogato. Concepisco l’autotraduzione quindi sostanzialmente come riscrittura, in cui il guadagno sta proprio nella deviazione dalla traduzione fedele.


Su Arcipelago Itaca 5 sintesi di un incontro tra Barbara Pumhösel e Eva Taylor, che in dialogo con la traduttrice Marina Pugliano hanno messo a fuoco i propri processi di autotraduzione (in occasione del Festival di poesia a Firenze “Voci lontane, voci sorelle”, giugno 2010) .

Eva Taylor. "Su due fiumi. – Scrittura bilingue e autotraduzione. Introduzione". Arcipelago Itaca. Letterature, visioni ed altri percorsi 5, 178;

Eva Taylor. “Su due fiumi. – Scrittura bilingue e autotraduzione. Tra riva e sentiero – le poesie sul fiume Erlauf di Barbara Pumhösel”. Arcipelago Itaca. Letterature, visioni ed altri percorsi 5, 2011, 179–180;

Barbara Pumhösel. “Su due fiumi – Scrittura bilingue e autotraduzione. Su Gartenarbeit – Giardinaggio di Eva Taylor”. Arcipelago Itaca. Letterature, visioni ed altri percorsi 5, 2011, 181–181.